lunedì 1 febbraio 2016

Dopo Misaki, la trasformazione: Kerber campionessa in Australia.




Angelique Kerber potrebbe essere il generale Perry, se Misaki Doi fosse la governatrice della prefettura di Kanagawa. Nel 1853 il militare americano sbarcava nervosetto nella baia di Yokohama, metropoli d'origine della piccola tennista giapponese, obbligando l'amministrazione locale ad aprire molti porti commerciali. Lo stesso ha fatto Angelique, sudando in verità qualche camicia in più, per ottenere dalla giapponese il via libera a salpare verso l'impresa di una vita: la conquista del trono australiano. Femmina della specie dei Murray, dunque contrattaccante, caratterizzata da un atletismo debordante e dalla capacità d'infiocinare chiunque menando passanti da ogni posizione, la tennista di Brema, neo campionessa dello slam australe, era stata quasi cancellata all'alba del torneo dalla mancina di Yokohama, in grado d'imbrigliare la Kerber fino quasi a farle perdere senno e partita. "Angie" è mancina lei pure, e proprio dal mancinismo trae linfa vitale per soffocare le avversarie con le proprie curve, ma contro Misaki, com'è ovvio,  il gioco non funzionava: la giapponese rispondeva infatti con poche difficoltà ai colpi effettuati da Kerber con la chela sinistra, e aggiungendo a ciò la buona potenza dei colpi di rimbalzo in rapporto alla minuta stazza , la trappola era presto servita. Fino al match point, appunto, che Doi con il dritto spediva fuori campo consegnando di fatto la partita a Kerber, non prima di averle fatto passare un discreto spavento.

Così la tedesca, che già aveva un piede sulla scaletta dell'aereo per Francoforte,  iniziava un sempre più esaltante viaggio tra le insidie del tabellone. Sempre più sicura, sempre più disposta a violentare un'indole che la prevede procrastinatrice e anche un po' sciacalla, disposta a difendere il possibile e l'impossibile attendendo l'errore della sempre più esausta avversaria. "L'ho capito lo scorso autunno al master di Singapore, dopo quella sconfitta assurda contro la Safarova che mi ha eliminato dal torneo: se manca poco al raggiungimento dell'obiettivo non basta aspettare l'errore di chi ti sta di fronte. Devi rischiare e andarti a prendere ciò che desideri". E sarà pure una considerazione banale, ma qualcosa nella testolina di Angelique è scattata. Lo si è visto nel modo in cui ha dominato le oppositrici che man mano si levava di torno e soprattutto contro la rinata e motivatissima Azarenka, che fino a quel pomeriggio era per il sottoscritto la vera favorita alternativa del torneo. Dopo una partenza spedita e un primo set incamerato, Kerber si trovava sotto prima per cinque a due e tre set point consecutivi, poi per cinque a quattro dovendone fronteggiare altri due, e qui avveniva la sua trasformazione in qualcosa di inedito: ella aggrediva come mai in passato, mentre l'oppositrice diventava sempre più piccola e si ritirava lontana dal campo. Angelica assumeva le sembianze di Azarenka, mentre l'attonita bielorussa si trovava, nolente, a dover interpretare una versione sbiadita della peggior Kerber avvezza al catenaccio.

La finale rappresentava la conclusione naturale di un percorso; un'ultima tappa che molte compagne di spogliatoio avrebbero affrontato con la stessa intensità con cui si affronta una gita scolastica. L'avrebbero vissuta come un premio per il grande risultato ottenuto, e una finale slam certamente è un grandioso risultato, accettando l'ineluttabilità della sconfitta nell'ultima bobina di un film che ha previsto una vincitrice ampiamente designata. Ma Serena, lo si è visto, quando è inquietata da qualche dubbio può anche perdere, e Kerber è la tennista perfetta per incastrare subdoli granelli di sabbia nel potente motore della campionessa. La capacità di difendersi "lunga" anche dagli attacchi più violenti disinnescava l'uno-due di Serena, sovraesponendola al rischio d'errore dal terzo colpo in avanti, mentre la seconda palla mancina, specie quella a uscire, conteneva di gran lunga il pericolo d'essere investita dalla sua proverbiale risposta. Ma tutto ciò non sarebbe stato sufficiente, se la trasformazione da preda a cacciatrice di Angie non si fosse completata in tempo. Priva di tremore nei momenti topici, capace di vincere i colpi più importanti anche in modo ardito, senza aspettare, in definitiva, regali che Serena non è avvezza a fare, Kerber è diventata campionessa slam. 

Cosa succederà adesso? Vincere il primo major passati i ventotto anni di solito pone il vincitore davanti a un bivio: la prima via, quella più comoda, è altrimenti chiamata "della pancia piena", e porta con sé gli effetti di un matrimonio mangiato, bevuto e festeggiato troppo: il grande risultato è stato ottenuto, per qualche mese, forse per tutto l'anno,  ci si può pure rilassare. Si vincerà un'altra prova così importante in futuro? Difficile, se non impossibile. La seconda strada, più impervia, simile a una mulattiera, è invece quella che porta chi mai pensava d'arrivarci a un grado di consapevolezza interiore e fiducia tali da non preclude nulla al futuro (avete presente Wawrinka?). I prossimi mesi daranno risposte a domande che iniziano a diventare interessanti. Interessanti come una storia che non sarebbe diventata tale, se la governatrice Misaki avesse messo in campo quella fatidica risposta di dritto.

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