Angelique Kerber potrebbe essere
il generale Perry, se Misaki Doi fosse la governatrice della prefettura di Kanagawa.
Nel 1853 il militare americano sbarcava nervosetto nella baia di Yokohama,
metropoli d'origine della piccola tennista giapponese, obbligando l'amministrazione
locale ad aprire molti porti commerciali. Lo stesso ha fatto Angelique, sudando
in verità qualche camicia in più, per ottenere dalla giapponese il via libera a salpare verso l'impresa di una vita: la conquista del trono australiano.
Femmina della specie dei Murray, dunque contrattaccante, caratterizzata da un
atletismo debordante e dalla capacità d'infiocinare chiunque menando passanti
da ogni posizione, la tennista di Brema, neo campionessa dello slam australe,
era stata quasi cancellata all'alba del torneo dalla mancina di Yokohama, in
grado d'imbrigliare la Kerber fino quasi a farle perdere senno e partita. "Angie"
è mancina lei pure, e proprio dal mancinismo trae linfa vitale per soffocare le
avversarie con le proprie curve, ma contro Misaki, com'è ovvio, il gioco non funzionava: la giapponese
rispondeva infatti con poche difficoltà ai colpi effettuati da Kerber con la
chela sinistra, e aggiungendo a ciò la buona potenza dei colpi di rimbalzo in
rapporto alla minuta stazza , la trappola era presto servita. Fino al match
point, appunto, che Doi con il dritto spediva fuori campo consegnando di fatto la
partita a Kerber, non prima di averle fatto passare un discreto spavento.
Così la tedesca, che già aveva un
piede sulla scaletta dell'aereo per Francoforte, iniziava un sempre più esaltante viaggio tra
le insidie del tabellone. Sempre più sicura, sempre più disposta a violentare un'indole
che la prevede procrastinatrice e anche un po' sciacalla, disposta a difendere
il possibile e l'impossibile attendendo l'errore della sempre più esausta
avversaria. "L'ho capito lo scorso
autunno al master di Singapore, dopo quella sconfitta assurda contro la
Safarova che mi ha eliminato dal torneo: se manca poco al raggiungimento
dell'obiettivo non basta aspettare l'errore di chi ti sta di fronte. Devi
rischiare e andarti a prendere ciò che desideri". E sarà pure una
considerazione banale, ma qualcosa nella testolina di Angelique è scattata. Lo
si è visto nel modo in cui ha dominato le oppositrici che man mano si levava di
torno e soprattutto contro la rinata e motivatissima Azarenka, che fino a quel
pomeriggio era per il sottoscritto la vera favorita alternativa del torneo.
Dopo una partenza spedita e un primo set incamerato, Kerber si trovava sotto prima
per cinque a due e tre set point consecutivi, poi per cinque a quattro dovendone
fronteggiare altri due, e qui avveniva la sua trasformazione in qualcosa di
inedito: ella aggrediva come mai in passato, mentre l'oppositrice diventava
sempre più piccola e si ritirava lontana dal campo. Angelica assumeva le sembianze
di Azarenka, mentre l'attonita bielorussa si trovava, nolente, a dover
interpretare una versione sbiadita della peggior Kerber avvezza al catenaccio.
La finale rappresentava la
conclusione naturale di un percorso; un'ultima tappa che molte compagne di
spogliatoio avrebbero affrontato con la stessa intensità con cui si affronta
una gita scolastica. L'avrebbero vissuta come un premio per il grande risultato
ottenuto, e una finale slam certamente è un grandioso risultato, accettando
l'ineluttabilità della sconfitta nell'ultima bobina di un film che ha previsto
una vincitrice ampiamente designata. Ma Serena, lo si è visto, quando è
inquietata da qualche dubbio può anche perdere, e Kerber è la tennista perfetta
per incastrare subdoli granelli di sabbia nel potente motore della campionessa.
La capacità di difendersi "lunga" anche dagli attacchi più violenti
disinnescava l'uno-due di Serena, sovraesponendola al rischio d'errore dal
terzo colpo in avanti, mentre la seconda palla mancina, specie quella a
uscire, conteneva di gran lunga il pericolo d'essere investita dalla sua
proverbiale risposta. Ma tutto ciò non sarebbe stato sufficiente, se la
trasformazione da preda a cacciatrice di Angie non si fosse completata in
tempo. Priva di tremore nei momenti topici, capace di vincere i colpi più
importanti anche in modo ardito, senza aspettare, in definitiva, regali che
Serena non è avvezza a fare, Kerber è diventata campionessa slam.
Cosa succederà adesso? Vincere il
primo major passati i ventotto anni di solito pone il vincitore davanti a un
bivio: la prima via, quella più comoda, è altrimenti chiamata "della
pancia piena", e porta con sé gli effetti di un matrimonio mangiato,
bevuto e festeggiato troppo: il grande risultato è stato ottenuto, per qualche
mese, forse per tutto l'anno, ci si può pure rilassare. Si vincerà un'altra
prova così importante in futuro? Difficile, se non impossibile. La seconda
strada, più impervia, simile a una mulattiera, è invece quella che porta chi mai
pensava d'arrivarci a un grado di consapevolezza interiore e fiducia tali da non preclude
nulla al futuro (avete presente Wawrinka?). I prossimi mesi daranno risposte a
domande che iniziano a diventare interessanti. Interessanti come una storia che
non sarebbe diventata tale, se la governatrice Misaki avesse messo in campo
quella fatidica risposta di dritto.
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